“I venti sono mezzi di locomozione,
trasportano i semi, le gemme della primavera.
Ma spazzano via gli inni
e le grida di intere generazioni.”
ranofornace
Pretty Things-S. F. Sorrow Is Born
In principio era il caos.
Si ma…
La Swinging London dei primi anni ’60, fu il brodo primordiale che diede inizio alla più straordinaria e avvincente ventata di freschezza culturale che la storia d’Europa abbia mai conosciuto. In questo clima rivoluzionario, fiorirono tantissimi gruppi creativi, mentre Beatles e Rolling Stones, già si proponevano a grande richiesta di varcare i confini d’Albione per solcare l’Atlantico. In questo contesto di controcultura giovanile british, gruppi come Who, Pink Floyd, Kinks, diedero adito ai primi vagiti.
Fra gli svariati gruppi meno intaccati dallo show business che affollavano le scene londinesi, menziono qui solo alcuni protagonisti per non sviare dai miei intenti, tra gli esempi più eclatanti figuravano gli Yardbirds, Manfred Mann, Alexis Korner, Graham Bond, John Dummer Blues Band, Aynsley Dunbar Retaliation, Groundhogs e Pretty Things. Quest’ultimi, nati dalla costola più dura dei Rolling Stones sono per il momento l’oggetto del mio interesse, non tanto per quanto riguarda il loro punto di partenza simile a quello di tanti altri che determinò storicamente la cosidetta “British Invasion” e cioè il blues e il rhythm & blues o per la loro bilaterale trasformazione del nome in “Electric Banana”, bensì per come il genere di base ha contribuito a portarli ad approdare ad uno dei capolavori più esaltanti che la storia della psichedelia e del nascente progressive possa vantare. Dopo la triade di rhythm & blues canonico, la band virò seccamente nello stile con “Emotions”. Poi, Phil May, Dick Taylor, John Povey, Walley Allen e quel mostro di creatività arrivato per ultimo che fu John Alder in arte “Twink”, diedero vita a metà della carriera a “S. F. Sorrow” nel 1968, la prima rock opera della storia e concept album della prima ora. A parte che nel 1967, Frank Zappa in “Absolutely Free” aveva gettato la basi progettuali per una simile idea, ma “S. F. Sorrow” precedette comunque di cinque mesi “Tommy” dei Who e più di un anno, “Arthur” dei Kinks.
D’accordo che la rock opera è una categoria musicale per cultori, un po’ marginale rispetto al resto, un progetto musicale non alla portata di tutti, occorre avere una visione compositiva allargata che fuoriesce dai semplici canoni del brano/canzone e della sua sommatoria in album, serve una capacità di veduta complessiva all’interno di un tema da svolgere con testi e musiche appropriate. Nel nostro caso questa capacità partì dal genio intuitivo di Phil May, cantante e leader, nonché fondatore del gruppo che inventò e scrisse la storia, impostò i testi, i quali furono musicati a misura.
Pretty Things- Private-Sorrow
Era da eoni che mi prefiggevo di elucubrare su codesta magnificenza. Tredici tracce per raccontare la storia di Sebastian F. Sorrow, personaggio fittizio, dalla nascita alla morte, un iter esistenziale dai risvolti drammatici che denota l’estrema transitorietà dell’esistenza umana. Furono registrate negli Abbey Road Studios con la determinante supervisione tecnica del produttore della EMI Norman Smith, lo stesso di “The Piper At The Gates Of Dawn” e collaboratore in “Sgt. Pepper’s”, che decise molte delle soluzioni sperimentali. Un album talmente influente e innovativo e maledettamente trascurato dal successo, che divenne l’indecifrabile fissazione di Roger Waters, tant’è vero che rimase a girare sul piatto del suo giradischi per diversi mesi e Pete Townshead dichiarò di averlo ascoltato per quattro giorni consecutivi prima di comporre “Tommy”. “S. F. Sorrow” è una miniera di gemme, un album così sonoricamente e musicalmente unico che quando l’ascoltai per la prima volta, fui investito dalla sua immane e inquietante seduzione. Non è stato facile sfuggire a simile incanto per un cultore di progressive dai retroscena psichedelici come il sottoscritto, penso che quest’opera sia l’ultimo vero grande baluardo del genere lisergico, più di ogni altra opera pinkfloydiana venuta dopo il 1968, ma includendo ovviamente per diritto il coetaneo “A Saucerful of Secrets”, prima dell’escalation progressive. La psichedelia non esaurirà tutte le sue pulsioni con l’avvento del “nuovo linguaggio”, ma qui siamo nell’anno fulcro, nel punto d’appoggio che fluttuerà a seconda della sbornia, verso l’uno o l’altro genere, “(Fluido) Rosa ” compreso. Il fatto sta che l’opera delle “Belle Cose”, non può essere considerato un vero e proprio album progressive, ma per la sua maturità è sicuramente un album psichedelico con lo sguardo rivolto al futuro. Per dirla in breve si tratta di psichedelia proto-progressive.
La prerogativa di tutto il disco è la sua costante variabilità sonora e musicale che gli conferisce un’aura umorale inquieta e misteriosa unica nel suo genere. Lo stile nuovo, mantiene la costante robustezza e compattezza che caratterizzava il gruppo. Il colore dell’opera è un fosco grigio scuro con qualche cromatica venatura.
Apre l'”infelice storia” la cavalcata di chitarre acustiche di “S. F. is Born”, per annunciare la nascita del protagonista, la ritmica, la sonorità e i canti ricordano molto i Who di “Sell Out”. Un’infanzia infelice è supportata dagli ironici cori di “Bracelets of Fingers” che echeggiano i Beach Boys, ma il brano impiantato su una marcetta ritmica, è una sommatoria complessa di suoni effettati molto inquietanti, dove il verbo progressive attua leggeri ma inconfondibili cambi d’umore. “She Sais Good Morning” allude alla tragica incombenza della guerra, un pezzo che ricorda i Beatles di “Sgt. Pepper’s”, ma non disillude il taglio psych-fuzz della chitarra elettrica di Dick Taylor dalle varianti imprevedibili. La magnifica “Private Sorrow” è un indecifrabile inno sonoro annunciato dalla sempre presente chitarra acustica, una marcia dalla connotazione folk-militaresca, alternata a cori e flauto stralunati col finale inusuale che lascia presagire a niente di buono, infatti Sebastian fuggendo dalle sue miserie economiche, smarrito si arruola nell’esercito, ma di lì a poco incomberà la guerra. “Ballon Burning” è una galoppata fuzz contrastata da canti doppiati e rallentati molto acidi; la fine del conflitto, porta il protagonista a sognare una rinascita di valori, di fiducia e di compensazione economica, ma l’improvvisa morte della compagna nell’incendio della mongolfiera è un fulmine a ciel sereno, un risveglio scioccante dall’idillio che lo farà ricadere nella depressione. Il capolavoro dimensionale di “Death” sta a rappresentare lo sconforto per l’amore perduto; rivela tutto l’eclettismo del gruppo, la marcia funerea è qui rappresentata con teatrale musicalità, l’ eccentrico riff di chitarra elettrica e basso colorano il brano a tinte dark, dove la voce di Phil May, come unico appiglio alla vita, accompagnata dal dulcimer e da un rimarchevole sitar, vaga fra fantasmagoriche nebbie sonore.
Pretty Things-Death
La tentazione di fuggire dalla realtà, ma non dalla morte prende forma in “Baron Saturday”, l’incipit tribal-psych severo e greve di basso e chitarra elettrica, unito alla voce “maligna” di May, apre a petulanti ventate d’organo, per evolversi nel convulso e spiritato running imposto da John “Twink” Alder. Nella ballata di “The Journey”, la malsana offerta verso paradisi artificiali produce i suoi effetti; è la solita chitarra acustica ad aprire con impeto gagliardo e accompagnare i canti flowers che sfumano in un psych-collage vorticoso di stampo pinkfloydiano. Il trip continua nella delicata e ipnotica “I See You”, puntualizzata dai tom-tom della batteria di John Alder, sfocia nella dilagazione lisergica di una chitarra acustica retroemotiva, risucchiata da puntualizzazioni fuzz e da mostruose turbe vocali. “Well of Destiny” è un incubo sonoro attribuito allo stato d’animo dello sventurato protagonista, echi gracchianti d’organo in coppia a stridule sferzate di chitarra barrettiana, annunciano la sua fine. La presa di coscienza di ogni disillusione verso la vita ed il prossimo è testimoniata nella pinkfloydiana post-’68 “Trust”, improntata dall’incedere del pianoforte per un ‘atmosfera più leggiadra. In “Old Man Going”, Sebastian ormai vecchio, ridotto ad un patetico e decadente reperto umano spegne ogni velleità; la ritmica spedita di chitarra acustica rimette sul pulpito tribale “Twink” , con ritmo da battitore trascina il canto rabbioso e la chitarra elettrica effettata verso il “naufragio della speranza”, questa volta saranno gli Who a farne tesoro per la loro imminente opera. Il commiato di “Loneliest Person” che chiude la vicenda Sorrow perso nel deserto della propria solitudine, è una breve essenziale ma intensa performance folk molto poetica di Phil May, dal gusto dolce-amaro.
Mi preme dire da tutto ciò, che i molteplici riferimenti allo stile di gruppi più “autorevoli” non vogliono in alcun modo far sminuire l’indubbio valore dell’opera, anzi difficilmente si può trovare un altro album che possa vantare una così forte identità, originalità di suoni e arrangiamenti, come questa esistenziale “via crucis” dei Pretty Things. “S. F. Sorrow” è un’opera magistrale, contiene spunti compositivi volti al nascente genere progressive che senza smarrire la strada confluiranno nel “nuovo linguaggio” con “Parachute” due anni dopo. Oggi il suo posto è per diritto fra gli assoluti capolavori della musica rock britannica. Fatene buon uso.
Pretty Things-Loneliest Person
valutaz. ***** (con lode) Pierdomenico Scardovi
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