Love: Forever Changes

 

dome punta di palata 1 014“L’amore ha il suo profumo,

quando entra in noi, l’Assoluto dilaga.

E ci cambia per sempre.”

 ranofornace

Love-Alone Again Or

Scusate ma questi versi calzano a pennello per ciò che andrò a dire.

love 1 love 2 arthur lee1 L’Assoluto ha qui il volto, la luce e il calore dell’estate californiana. Correva l’anno 1967, quello della “Summer of Love”, quando a Los Angeles, Arthur Lee fondatore e lieder dei Love, mise mano insieme a John Echols, Bryan MacLean, Ken Forssi, Michael Stuart, a “Forever Changes”, l’assoluto e indefinibile capolavoro di psichedelica americana. Il vento liberatorio della controcultura giunto da San Francisco s’infrangeva sul “sogno americano” come un tornado, per spezzare le catene e aprire le porte all’uso di droghe, alla spiritualità e all’amore. Ma “L’amore cambia per sempre”, come disse il giovane Arthur Lee ad un amico, più della politica, più delle lotte confluite nei fatti di Haight-Ashbury, più della stessa libertà.

love 1 Nel caso nostro, l’amore che pervade ogni nota, è la forza di questo lavoro immortale, che lambisce le pareti consunte delle nostre coscienze per guarirle dai mali che la vita ci riserva. I “Love”, il nome dice tutto, sono stati uno dei più importanti gruppi popsych americani, ma a differenza di altri, non ebbero il meritato successo. Dalla Bay Area, i quotati Jefferson Airplane, Grateful Dead e Quicksilver, dettavano l’agenda dei numerosi concerti estesi per tutto il continente, si aprivano cosi nuovi scenari espressivi per tutti e la psichedelia era il linguaggio codificato, o meglio la condizione ideale per esprimere la creatività nelle sue differenti sfaccettature. Il genere era concepito e suonato sotto l’influsso di droghe con risultati musicali tra i più disparati in base alle capacità e al tipo di sensibilità. Esiste una psichedelia space-inquietante (Pink Floyd), ipno-oppiacea (Gandalf), trip-mantrica (Ultimate Spinach), acid-rock (Grateful Dead), sunshine-sognante (Music Emporium), flower-pop (Blossom Toes), ecc. Ma esiste una psichedelia che si divincola da ogni definizione di genere e “Forever Changes” dei Love è una di queste.

love 6

Love-Andmoreagain

Vogliamo dire che Arthur Lee era personaggio eccentrico, enigmatico e talentuoso fuori dagli schemi, dalla vita avventurosa e drammatica? Musicista naturale più di ogni altro, capace senza essere visionario, di produrre coaguli formali di alto potenziale emozionale, la sua musica pur non trascendendo i confini del linguaggio specifico (la musicalità), sprigiona in noi una visione spazio-temporale tanto cara al nostro inconscio. Questa virtù, appartiene a pochi veri grandi artisti, un nome su tutti Wolfgang Amadeus Mozart e perdonatemi, senza paragone, la comoda citazione. I Love, senza che trapelasse granché dal loro capolavoro, furono devastati dalla piaga della droga, una pratica distruttiva che minò irrimediabilmente la loro sopravvivenza artistica, dopo un paio d’anni il gruppo fu decimato da innumerevoli vicissitudini. Signori, qui siamo di fronte ad un’opera maestosa che incorpora molti elementi tipici di quell’epoca e di quel luogo, ma senza rientrare necessariamente nei lavori compiacenti alla causa hippie. Anzi, a primo ascolto si  apre un mondo tutt’altro che magmatico, fatto di brezze epidermiche sulla svagata e promiscua gioventù californiana decifrata con lucida consapevolezza. “Forever Changes” è un disco avanti anni luce rispetto ai suoi tempi, sembra più una proiezione filmica di un mondo folclorico post-lisergico, una commistione lambiccata di innesti eterogenei colti sapientemente dal genio intuitivo di Arthur Lee, la stella nera dell'”Età dell’Oro” della psichedelia statunitense. Canzoni sublimi di una bellezza sconcertante, dove nei testi il tema della libertà e dell’amore della retorica flower assume una connotazione si problematica, ma musicalmente equilibrata e vitale. Sembra che Lee e compagni sapessero cosa occorreva ai giovani americani per specchiare il proprio edonismo.

love 5Insito nel dire che questo disco dal fascino inalterato, ha lasciato un’ impronta indelebile nella storia della musica americana e non si tratta di rock vero e proprio, né di folk in senso stretto, ma è un lavoro “folclorico” di malinconica ed elegante lucentezza, impreziosito da arrangiamenti orchestrali di archi e trombe mai invadenti o noiosi, con l’uso importante di chitarre dai pochi fraseggi e dalla voce suadente e carezzevole di Lee. Costituisce un punto d’incontro fra la complessità compositiva degli Spirit, il pop britannico e la psichedelia, ininfluente è il condizionamento folk-rock dei concittadini Byrds (IMHO). “Forever Changes” fu importante non solo per il pop chitarristico futuro, ma sopratutto per la canzone melodica americana, quella più armonicamente articolata per intenderci. Los Angeles in quel periodo, era altra cosa da San Francisco, aveva dato i natali musicali a gente come Tim Buckley, Byrds, Clear Light, Sunshine Company, Yellow Baloon e Spirit, gruppi nel quale il folk-pop giocava un ruolo fondamentale, ma anche a tipi come Captain Beefheart, Kim Fowley, Seeds, Merrell Fankhauser, Beauregard Ajax, più eclettici almeno sul piano delle idee rispetto all’effusiva west coast e quanto loro, “Forever Changes” nonostante sia ombrato e moderatamente ansioso, conserva una coloritura floreale strutturalmente complessa fatta di citazioni world, come la musica Mariachi dei Chicani d’America.

arthur leee forever changes

Love-Maybe the People Would Be The Times or Between Clark and Hilldale

Il marchio di fabbrica di tutto il disco è la sua sonorità condizionata dall’uso costante della chitarra acustica che apre sempre ogni brano (tranne il penultimo), ne ammorbidisce lo stato unitamente alla voce mai aggressiva di Arthur Lee, seppur a volte presa da una frettolosa smania. La prerogativa strutturale invece, è la sua insolita ricchezza e variabilità armonica. Apre “Alone Again Or” di Bryan MacLean nel pieno “spirito Love”, fatta di accordi minori di chitarra acustica e tromba da corrida messicana con inserimenti orchestrali. “A House Is Not A Motel” parte ancora  con un plettro acustico alla H.P. Lovecraft, per una ballata a ritmica rullata, troviamo qui una delle poche irruzioni acide controllate di chitarra elettrica molto efficace. “Andmoreagain” è l’altro bellissimo brano melodico di Bryan MacLean cullato da una carezzevole sezione di violini. “The Daily Planet” è in palese stile Spirit, mentre la delicata “Old Man”, malinconica melodia dai molteplici innesti di violini, piano e trombe, esplica un notevole eclettismo interpretativo. “The Red Telephone” dall’armonia tutt’altro che scontata e dallo splendido arrangiamento, echeggia ancora gli Spirit. La ballabile “Maybe The People Would Be The Times Or Between Clark And Hilldale” caratterizzata da trombe e chitarra Mariachi, ravviva il contesto. “Live And Let Live” accompagnata dal caraibico ukulele, vira in sospensioni armoniche dove troviamo per la seconda volta un assolo di chitarra elettrica. “The Good Humor Man He Sees Everything Like This”, è un pezzo dal  grande arrangiamento, sussurri di trombe  e pizzicati d’archi decorano i cambi armonici molto fluidi e articolati. “Bummer In The Summer” fila via spedita col suo veloce arpeggio. “You Set The Scene”, altro pezzo dall’arrangiamento ricco e complesso chiude l’epica carrellata discografica consegnata alla storia.

Come avrete notato non mi sono addentrato in una descrizione minuziosa dei brani, che per loro natura non sopportano la storpiatura delle parole. Essi invece oggi più di allora, pretendono il vostro ascolto e aspettano il vostro plauso. Mai musica sublime come questa ha subito così tanta ingiustizia. Mah…?!

Love-Bummer In The Summer

rano 2valutaz. ***** Pierdomenico Scardovi


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