Frank Zappa, The Mothers of Invention: Freak Out!

dome punta di palata 1 014Parlare di musica è come ballare di architettura

Frank Zappa

e azzardare illusioni…

ranofornace

Frank Zappa-Any Way the Wind Blows

Frank-ZappaRicorrono quest’anno i 20 anni dalla scomparsa dello “zio Frank”, il genio dei geni, una delle figure più importanti del ‘900 impossibile da dimenticare. Allora noi vogliamo per l’occasione come lui ha più volte sollevato, a modo nostro parlare di architettura, si perché quando l’oggetto in questione si chiama “Freak Out!” mettiamo in causa un’opera architettonica qual è la “cattedrale postmoderna”, l’edificio ateo del freak-rock secondo che scrive. Qui ragazzi dobbiamo riflettere sull’importanza  di questa opera magna, Zappa si avvalse delle “Mothers of Invention” per mettere a frutto le ”pazze” idee che gli balenavano in testa con il suo album d’esordio, un teatro dell’assurdo contro le ideologie borghesi. Consideriamo che fu pubblicato nel lontano 1966, in quel “tempo della semina”, che fu il quadriennio  più rivoluzionario della controcultura giovanile, (1964-68). Il disco, primo manifesto del freak antideologico e  anticonformista, si pose come nuovo modello di costume ed ebbe un’influenza enorme sullo sviluppo della musica rock, come apertura di campo volta a superare le riduttività compositive all’interno dei generi.

Potevo lasciarmi ammaliare da dischi esteticamente molto più seducenti come “Hot Rats”,  “The Grand Wazoo” e compagnia bella, ma il potere occulto del primo concept album della storia, uno degli album più seminali,  ha sempre invaso il campo delle mie attese, l’argomento in questione è la società dei consumi. “Freak Out!”, con il suo disilluso atteggiamento creativo, favorisce l’eclettismo di Zappa e la sua autoreferenzialità che svilupperà in maniera esponenziale nei successivi lavori, carpendo dal passato e dai generi gli stilemi consoni al suo straordinario prodotto “anti-consumistico”. I confini fra arte e kitsch si sfumano intelligentemente nei sarcastici e graffianti acquerelli satirici dai  molteplici riferimenti musicali. Fuori dalla cultura americana gli interessi personali per Igor Stravinsky, Edgar Varese, Olivier Messiaen, Karlheinz Stockhausen, ma anche il canto a tenore sardo, la musica classica indiana, Ravi Shankar, la musica bulgara, si uniscono alla base autoctona del r&b-doo wop-jazz-rock-blues, con una non trascurabile ammirazione per un grande compositore americano quale Burt Bacharach, il mix produrrà un cocktail multi speziato, di forte impatto iconoclasta, per una decostruzione stilistica riordinata. Prima di di tutto “Freak Out!” è una grande lezione di composizione, un’architettura sonora in cui si attua una trasformazione fondamentale, il passaggio dal tradizionale complesso beat-r&b in orchestra sui generis, il paragrafo principale è “l’arrangiamento strumentale”.

phi-Zappa-krappaLa prima traccia “Hungry  Freaks, Daddy” è una contestazione del sistema, ma come ogni figlio che si scaglia contro il padre o si divincola dal legame materno, la canzone d’apertura ha in sé tutto il sapore d’epoca e il gusto tutto americano ironicamente mainstream, “Mister America, walk on by, supermarket dream”, in cui si avvertono piccoli rumori qua e là, come fossero jiungle pubblicitari di tipo fumettistico. ”I Ain’t Got no Heart”, (rifiuto dei legami sentimentali) cantato a più voci con un crescendo di tensione, ha in sé il seme “progressive”. Il primo grande capolavoro è la criticissima e sarcastica “Who Are the Brain Police?”, aperta da un  riff greve e minaccioso di basso e chitarra fuzz , che si espande in una concertazione cacofonica immersa in un caos rumoristico, dove il canto riverberato a tratti cadenzato si sfascia in allusioni disarmoniche dalla sperimentazione più colta. La mielosa parodia di “Go Cry On Somebody Else’s Shoulder” è una presa in giro della canzone leggera da ballo per liceali anni ‘60, col canto in falsetto e negroide, Zappa e le Mothers sguazzano in un divertente siparietto. Altro capolavoro è “Motherly Love”, un beat-garage pseudo sinfonico piuttosto velenoso, sbeffeggiato da risalti paperineschi e puntualizzato dal canto deciso e gutturale di Zappa. La seriosa “How Could I be Souch a Fool?” dall’arrangiamento orchestrale è un lento dalle insinuazioni soul. Con l’entrata della chitarra rock & roll di “Wowie Zowie” il cartoon musicale canzonatorio continua imperterrito, le gag canore dai toni sgraziati e ‘l’arrangiamento sempre pertinente all’effetto voluto, conferiscono al pezzo una piacevole e spassosa lettura.

Frank_ZappaI capolavori si susseguono con la solare “You Din’t Try to Call me”, dal solito canto caustico e pungente che segue i cambi di ritmo con  stacchetti repentini, puntualizzati con sezione fiati da operetta. Altro esempio di eclettismo è “Any Way the Wind Blows”, forse il pezzo che meglio rappresenta l’America musicale di Zappa, il suo interessamento per la cultura easy-listening sessantiana, nonostante sia evidente il registro intrapreso, sembra che “lo zio Frank” volga ancora un languido sguardo all’indietro con un leggero sentore nostalgico, semplici cori intonano uno struggente motivetto. Non so quante volte l’avrò ascoltato, perché in esso vi trovo racchiuso il mistero di un transfert spazio-temporale dalle coloriture indicibili. “I’m Not Satisfied” dall’atmosfera beat’n-roll e dai vocalizzi grotteschi e pungenti, è un altro saggio di orchestramento sopraffino in alleggerimento. L’umorismo sarcastico del cantato, inonda il timido accenno surf  di “You’re Probably Wondering Why I’m Here”, mentre la cupa e reiterata “Trouble Every Day” denuncia i fatti di Los Angeles, con tono minaccioso e incandescente, le chitarre sovra incise  modulano un riff incalzante e deciso in compagnia di una fisarmonica a bocca lamentosa. In “Help, I’m a Rock”, (esempio d’abilità di mixaggio che persisterà fino alla fine del disco), l’atmosfera psichica si fa più densa con l’incedere di un insistente “delirio liberatorio”, il mono-tono perpetuato sembra scandire come un metronomo, un’alienante nevrosi metropolitana. “It Can’t Happen Here” viaggia su una linea jazzistica free che si interpone ad un agglomerato di voci beffarde e inquietanti per poi esplodere in svariati mormorii umoristici, sarà il preludio al mega capolavoro concettuale di oltre 12 minuti di “The Return of the Son of Monster Magnet”, che chiude il disco. Una suite spaziale futuristica, dalle tinte tribali, senza linea melodica e cadenzata dalla sola ritmica, dove lo sfogo orgiastico prende sopravvento, una partitura di ingegneria anarchica fatta di sovra incisioni e accostamenti di voci e sospiri, aggrovigliati in soliloqui confusionari dalla alludente connotazione sessuale, mai nessuno prima di Zappa,  aveva osato tanto.

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Per concludere, “Freak Out!” anticipa anche se di poco, l’imminente propensione liberatoria delle pulsioni istintuali presenti nella pratica psichedelica, con la differenza che ”il contadino di Baltimora” era acerrimo nemico dei cosidetti “paradisi artificiali”, Zappa non ha mai assunto droghe in vita sua per visualizzare gli spazi sonori. Solo un genio quale lui era, riusciva vedere in sobrietà ciò che gli altri vedono alterando la coscienza e non bastava. Ma “Freak Out!” non è solo questo, è prima di tutto il testo base della postmodernità musicale, un primordiale motore che muove ancor oggi il suo volano a distanza di oltre 50 anni, per quella tendenza della musica e delle mode, che per alcuni hanno la presunzione di essere  definite ancora “innovative”.

Pierdomenico Scardovi

rano 2valutaz. ***** (con lode) Pierdomenico Scardovi


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