Dedicato al nostro assessore alla cultura
L’otium ha sempre suscitato sentimenti contrapposti. Condannato a più riprese e poi bandito dalla cultura industrialista, per secoli è stato nell’impero romano uno stile di vita elevato, considerato di pari valore rispetto al negotium. Insomma, per i cittadini dei primi secoli dell’era cristiana vita pubblica e vita privata erano sullo stesso piano, in perfetto equilibrio. Noi moderni, invece, siamo sempre più schiavi del negotium, degli affari, degli impegni, della velocità. Viviamo una vita squilibrata e nevrotica. Quest’antitesi radicale fra l’antico e il moderno.
La vita nelle domus e nelle villae dei ceti più abbienti nel periodo che va dal I al III secolo dopo Cristo. Per le classi dominanti dell’epoca, l’otium è un complesso di attività intellettuali e meditative, ricreative e ristoratrici che rappresenta non solo un bisogno essenziale, ma anche un elemento caratterizzante dello stile di vita, della libertà personale, della tempra morale. Lungi dall’essere disprezzato e demonizzato, l’ozio era considerato come essenziale libertà e come completamento rispetto agli obblighi del lavoro e agli impegni di carattere pubblico – ma non in contrasto con quelli – e quindi come possibilità di dedicarsi alla cura di sé. L’otium era lo spazio dell’anima e il luogo dei piaceri del corpo. Era arte di vivere. Una condizione privilegiata e invidiabile. La massima aspirazione per un uomo che fosse in grado di trovare il giusto equilibrio fra la dimensione pubblica e quella privata della vita.
L’otium s’identifica quindi con un ideale culturale e filosofico volto a raggiungere la conoscenza come superiore valore etico e morale. Questo stile di vita si riflette anche nel disegno delle abitazioni, domus o villae, pensate come luoghi simbolici e di rappresentanza, che esprimono il rango sociale dei proprietari. La natura intellettuale dei padroni di casa, il dominus e la domina, si rivela nell’attenzione dedicata all’arredo: nella scelta dei pavimenti e delle pitture parietali; nella collocazione di statue ed erme di filosofi; nella cura del giardino e nell’elaborazione di fantasiosi esterni con giochi d’acqua, getti di fontane e ninfei. I proprietari, in solitudine o in compagnia, utilizzano questi ambienti per passeggiare e meditare, dedicarsi alla lettura, alla conversazione, alla dettatura, in altre parole all’otium intellettuale. Le stesse matrone sono protagoniste di queste attività dello spirito, coltivando la musica, la pittura, la scrittura e altre attività intellettuali.
Accanto alla cura dello spirito c’è poi la cura del corpo nelle terme private, che fioriscono nelle villae di campagna e nelle domus di città, per soddisfare i piaceri del corpo in un ambito di riservatezza. Presso gli antichi non mancano naturalmente anche i momenti di svago e di gioco, sia dei bambini che degli adulti: gli uni si dilettano con bambole e noci mentre gli altri preferiscono dadi e astragali.
A partire da questo approccio storico-filosofico, la mostra Otium è organizzata come un complesso e intrigante racconto scandito da diverse sezioni tematiche: “La serenità intellettuale”; “Atrio, giardino, peristilio, ambulatio”; “Il rito dell’ospitalità”; “La vita alla terme”; “Gli spazi intellettuali femminili”; “Il gioco a tutte le età”; “La domus come luogo dell’otium”.
DALLA TRYPHÈ DEGLI ETRUSCHI ALL’OTIUM DEI LATINI
La cultura dell’otium degli strati sociali agiati nel tardo periodo repubblicano e dei primi secoli dell’impero romano s’inserisce nell’eclettismo di origine ellenistica, che trova il suo rappresentante più autorevole in Cicerone. L’otium cui l’intellettuale, ma meglio sarebbe dire il “perfetto gentleman”, dell’epoca aspira è un modello di vita che concilia buone letture filosofiche, gusto per l’arte, esercizio fisico, vita sociale e conviviale e una partecipazione alla politica che, con l’avvento del regime imperiale, si andrà trasformando in un impegno nell’amministrazione civile e militare.
La posizione di Cicerone e di Sallustio riflette tuttavia il rammarico di uomini che avevano avuto parte rilevante nel gioco politico romano e che erano stati costretti dalle circostanze a ritirarsi a “vita privata” e a rifugiarsi nell’otium, per quanto operoso. Già diversa è la posizione di Seneca, ormai in piena età imperiale; l’otium per lui non è più solo un rifugio, ma è un ideale di vita, l’unico degno dell’uomo colto, del raffinato intellettuale, in contrasto con la degenerazione della vita civile, in cui prevalgono i “nuovi ricchi”.
Tuttavia, l’elogio di questo ideale di vita “filosofica”, che prendeva a modello lo stoicismo e l’epicureismo, non era sempre stato un patrimonio tradizionale della cultura latina. Anzi, in età repubblicana i Latini avevano come riferimenti negativi popoli come gli Etruschi, che venivano accusati di avere perso l’originaria virtù militare a vantaggio di uno stile di vita eccessivamente dedito ai piaceri.
Il giudizio sprezzante sugli Etruschi come popolo dedito non solo al lusso e ai piaceri (alla tryphé), ma all’immoralità sessuale e a costumi sfrenati e imbelli, risente certamente di un giudizio che i Greci avevano elaborato da tempo ma raccoglie anche tradizioni diffuse negli ambienti italici della tarda età repubblicana.
In sostanza, il tema della tryphé etrusca non è solo un’invenzione della propaganda greca ostile, ma affonda le radici in una più generale valutazione da parte dei Romani e, certo, anche degli altri popoli italici di quella che era stata la potenza del nomen etrusco, che aveva un tempo dominato l’Italia, ma che poi aveva perso la sua forza e il suo prestigio.
Di potere e ricchezza facevano sfoggio i principes etruschi fino dalla fine dell’VIII secolo e certamente nel VI secolo a.C. che rappresenta, con l’affermarsi della monarchia etrusca a Roma, l’apogeo politico degli Etruschi in Italia. Quando questo tenore di vita non trovò più corrispondenza con una pari autorità politica, si diffuse da parte dell’élite romana una valutazione spregiativa del loro modo di vivere.
E infatti c’è la reazione della classe dirigente romana a partire dalla presa di potere oligarchica del V secolo. Tra le disposizioni delle XII tavole netta è infatti la condanna delle manifestazioni esteriori del lusso, con il divieto di esibizioni nelle cerimonie funebri.
Con l’espandersi della repubblica e nella fase di transizione all’impero, anche nell’élite romana si diffondono nuovi stili di vita, che in parte vanno a recuperare le tradizioni dell’aristocrazia etrusca. Inoltre, molte delle grandi famiglie etrusche si erano progressivamente inserite nel tessuto del patriziato romano e lo influenzavano.
In definitiva, si può dire che l’otium acquista dignità e diventa stile di vita delle classi privilegiate grazie alla doppia influenza esercitata a Roma dalla tradizione culturale etrusca e dalle concezioni filosofiche dell’ellenismo.
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