LE NAVI DEI VELENI IN ROMAGNA

La gestione dei rifiuti è un’attività di pubblico interesse, rispetto alla quale i comportamenti degli individui non possono essere liberi, ma devono sottostare ad obblighi e limiti imposti dal legislatore.

Potremmo quindi affermare che una discarica è (quasi) per sempre!

Si dovrebbe partire proprio da questo presupposto legislativo per valutare l’importanza della gestione dei rifiuti e questo perché l’accumulo, e quindi la conservazione, nonché l’inevitabile manutenzione dei siti di raccolta e maturazione degli stessi, implica una gestazione di tempo che coinvolge più di una generazione ed è importante per la collettività che tutto ciò avvenga nel migliore dei modi e in totale trasparenza, avendo però come precetto politico, quello di ridurli il più possibile e recuperare il riciclabile, non certo quello di sotterrarli.

A ciò va aggiunto un altro aspetto, cioè quello delle risorse utilizzate nel corso del tempo per mantenere in sicurezza la discarica, soldi, quindi tasse, quindi lavoro, forniti dai cittadini. Per ultimo, ma non meno importante, il pericolo per la salute pubblica che deriva dalla presenza nel territorio di discariche mal gestite e da eventuali dispersioni di materiali inquinanti nelle matrici ambientali ( aria, acqua, terra).

Non dimentichiamoci che la gestione dei rifiuti non è un problema solo di pochi cittadini attivi e partecipanti, ma di tutti.

Nascere con un certo quantitativo di rifiuti da conservare, gestire e mantenere innocui al fine di tutelare la propria salute e allo stesso tempo rimandando ad altri la responsabilità dei propri, è entrare in un vicolo cieco, perché l’immondizia, che sia bruciata o sotterrata, non scompare.

La storia dell’ex discarica Ca’ Antonioli, che sorge a 2 km dal centro abitato di Savignano sul Rubicone, che entrò in attività nel 1972 e prosegui fino al 31 marzo 1992 ne è un esempio.

Perché quando si parla di rifiuti, è bene ricordare che il lasso temporale di monitoraggio interesserà più di una generazione. Il risultato è che molti dei savignanesi appena maggiorenni, pagano il dazio in termini economici ed ambientali, di rifiuti prodotti quando ancora non erano nati.

In verità, Ca’ Antonioli avrebbe dovuto chiudere nel 1985, ma non fu così, anzi, nel 1989 scoppiò una grande polemica quando il piccolo impianto subì un ampliamento per far posto alle scorie di rifiuti provenienti da Port Koko, rimandati in Italia dalla Nigeria dove erano stati portati da aziende dell’Emilia.

Stiamo parlando di 560 container di rifiuti speciali, pari a 10.000 tonnellate di terriccio contaminato raschiato nella discarica di Koko. Il terriccio decorticato fu il risultato dell’abbandono abusivo di 2500 tonnellate di rifiuti tossici nella discarica selvaggia nigeriana, tutti rispediti al mittente con l’aggiunta del terreno inquinato dagli stessi, che ne quadruplicarono la quantità.

L’intero carico fu suddiviso in due discariche, una nel bolognese, l’altra a Savignano sul Rubicone.

Così come nel novembre 1989, la portacontainer cinese Hai-Xiong, attraccò a Ravenna dove, su incarico del Ministero degli Esteri, Eni-Ambiente eseguì una analisi del terriccio, confermando un basso grado di contaminazione, tale da farlo classificare rifiuto speciale e destinandolo poi alla discarica di Savignano sul Rubicone.

Qualche anno dopo, durante la conferenza internazionale sulle “navi dei veleni”, svoltasi nel giugno 1992, la portacontainer suddetta, insieme alla Karim B, fu oggetto di accertamenti che confermarono la natura dei materiali da esse trasportati; il 14 aprile del 1998 poi, alla Camera dei deputati, nell’inchiesta parlamentare sul ciclo dei rifiuti, si affermò più volte che il contenuto trasportato in quegli anni dalle cosiddette “navi dei veleni”, fosse materiale tossico-nocivo”.

Fu così che il 23 febbraio del 1990, tra le proteste dei cittadini, cominciarono ad arrivare alla discarica savignanese, nel frattempo ampliata per l’evenienza, i primi 270 camion di rifiuti di Port Koko.

Dal 1990 ad oggi, questa discarica ha prodotto percolato smaltito in fognatura e nel 2012 ha subito un intervento di manutenzione straordinaria per aree ambientalmente compromesse, costato alla collettività 400.000 euro, lavoro che venne fatto sulla base di analisi delle acque sotterranee idonee, ma badate bene, datate 2003, anno in cui Arpa decise di interrompere i controlli dei pozzi esterni anche se, per legge, una discarica andrebbe costantemente monitorata, che tradotto, vuol dire spendere risorse pubbliche per almeno 30 anni.


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Il Direttore Giuseppe Bartolucci

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